La rinnovabilità della fonte si definisce facendo riferimento al rapporto fra tempi di produzione della fonte e tempi di consumo della fonte da parte dell'essere umano.
Per questo, per poter considerare “rinnovabile” una fonte occorre che l'ordine di grandezza temporale fra la produzione e il consumo sia confrontabile e venga tenuto in considerazione nella gestione delle risorse stesse.
Ad esempio
I tempi di produzione del petrolio sono dell'ordine di grandezza dei milioni di anni e i tempi di consumo del petrolio sono dell'ordine delle decine di anni: i due tempi non sono quindi confrontabili.
I tempi di ri-produzione di un bosco sono dell'ordine delle decine di anni: per considerare “rinnovabile” questa fonte è possibile e occorre adeguare i tempi di consumo allo stesso ordine di grandezza di quelli di ri-produzione (decine di anni).
Le fonti non rinnovabili sono: petrolio, gas metano, carbone, uranio.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 1 del Decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003, per fonti rinnovabili si intendono «le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas). In particolare, per biomasse si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani»
da: Gestore servizi elettrici