32".16 trentadue secondi e sedici
di Michele Santeramo
regia di Serena Sinigaglia
con Tindaro Granata, Valentina Picello, Chiara Stoppa
con il sostegno di NEXT2015
2008. Olimpiadi di Pechino. Samia Yusuf Omar viene ripresa da tutte le telecamere del mondo accanto ai mostri sacri dell’atletica, corre per i 200 metri. Il risultato è scontato: è ultima, quasi dieci secondi di distacco dalla prima. Dieci secondi nei 200 metri sono un tempo infinito. Il tempo di Samia: 32.16.
2012. Il Corriere della Sera pubblica una notizia.
“Atleta somala muore su un barcone per raggiungere l’Italia: avrebbe voluto partecipare alle Olimpiadi di Londra.”
Ho conosciuto la storia di Samia grazie al bel ilbro di Catozzella “ Non dirmi che hai paura” e grazie alla segnalazione di amici che lavorano in Sky.
Mi sono appassionata subito. Perché la questione dell’immigrazione, perché la questione dell’accoglienza e perché lo “scontro di civiltà”... insomma il nostro presente è questo, ci piaccia o meno. Ma mi sono appassionata anche perché da bambina ho vissuto (e a lungo) proprio in Somalia, proprio a Mogadiscio, dove Samia è nata e da dove Samia è scappata per intraprendere il “viaggio”.
Il “viaggio” di Samia è anche il mio viaggio e il viaggio di tutti coloro che guardano con pena e preoccupazione a quanto succede ogni giorno a largo di Lampedusa.
Serena Sinigaglia
Ho incrociato la storia di Samia Yusuf Omar. Una giovane donna somala che ha partecipato alle olimpiadi a Pechino nel 2008, avrebbe voluto partecipare a quelle di Londra nel 2012, è morta vicino Lampedusa.
Mi è sembrata subito esemplare di una serie di speranze comuni, di un tempo quotidiano nel quale viviamo, dell’attualità ma anche di qualcosa di ancestrale che è il desiderio di vivere una vita migliore.
Ho cominciato a raccontare la sua storia ma mi sono accorto che il mio sguardo sarebbe stato parziale. E poi in Italia la storia di Samia è già stata raccontata sia in un romanzo sia in televisione. Non era questo dunque l’obiettivo che questo testo doveva porsi. L’obiettivo non doveva essere solo il racconto di quella storia.
Era, e l’ho capito durante un percorso faticoso e il più possibile onesto, far diventare quella storia uno specchio, che ci mostrasse cosa siamo diventati noi.
D’altro canto, è stato ancora una volta Eduardo a indicarmi la strada: bisogna mettere in scena personaggi tra cui lo spettatore possa riconoscersi.
Per me, il senso di scrivere questa storia non è solo raccontare una vicenda legata all’immigrazione. È provare a capire cosa facciamo noi mentre il mediterraneo si riempie di occhi aperti, cosa siamo diventati, ciascuno sulla sua isola a decidere, purtroppo, non soltanto della propria vita.
Così, Samia è ridiventata preziosa per me, che ho potuto chiedermi cosa sia diventato io nel tempo del suo viaggio, nel tempo di tutti questi viaggi che ormai somigliano a semplici notizie con le quali riempire tempo e pagine.
La domanda è stata: noi che cataloghiamo le vite di chi muore in statistiche e flussi, noi, cosa siamo diventati?
Questo mi ha raccontato Samia, mentre mi accostavo in punta di piedi alla sua memoria, a lei, al suo tempo: 32 secondi e 16.
Ne è venuto fuori un atto unico in tre capitoli, che con la preziosa e costante collaborazione di Serena, mi ha mostrato aspetti, paure e desideri che prima non conoscevo.
Michele Santeramo
INGRESSO SPETTACOLO